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Nel saggio pubblicato per Einaudi la giornalista Francesca Santolini ricostruisce i legami tra ecologismo e culture reazionarie. E ci spiega perché l’estrema destra torna a occuparsi di ambiente
A fine 2021 ho proposto un articolo sull’ecofascismo a La Stampa. Il direttore, all’epoca Massimo Giannini, mi diede uno spazio importante: diecimila battute (più o meno la lunghezza di questa intervista, nda). Questo mi ha permesso di poter approfondire. Da quel momento, ho iniziato a leggere tutto il possibile in materia. Ad accendere il mio interesse è stato lo studio di due ricercatori inglesi dell’Università di York, Joe Turner e Daniel Bailey, che hanno analizzato l’armamentario propagandistico delle destre nazionaliste europee. Dal loro lavoro emerge che il discorso sulla crisi climatica è passato dalla negazione al riconoscimento dell’emergenza in corso. Ma in chiave identitaria. Un fenomeno che i due chiamano ecobordering: difendere l’ambiente chiudendo le frontiere». A parlare è la giornalista Francesca Santolini, autrice di Ecofascisti (Einaudi, 2024), saggio in cui racconta l’incontro tra il verde dell’ecologia e il nero dell’estrema destra, svelando il cortocircuito tra ideali neofascisti, e in generale reazionari, e un’idea di tutela dell’ambiente.
Scrivi che “considerare l’ecologia un sistema ideologico progressista e di sinistra è un bias cognitivo”. Che significa?
È sbagliato pensare che l’ambientalismo sia un’esclusiva del pensiero progressista. Anche se ci inorridisce il pensiero, nella formazione dell’ideologia nazista e nella sua attuazione le componenti che oggi attribuiremmo a una sensibilità ambientale hanno svolto un ruolo centrale: gli “ecologisti” nazisti trasformarono l’agricoltura biologica, il vegetarianismo e il culto della natura in politiche di governo… Per arrivare a oggi, è la stessa crisi climatica a essere una sostanza informe. È adatta a una lettura di sinistra, che mette al centro i temi delle diseguaglianze sociali e della giustizia climatica. Ma si presta anche a una lettura liberale, basata su capitale e tecnologia, o conservatrice: “Lasciamo tutto così, l’umanità se la caverà come sempre”. Esiste poi una lettura turbo reazionaria, che “confonde” il tema della difesa dell’ambiente con quello della difesa dei confini dai migranti. Un rovesciamento della realtà che vede le persone migranti causa della crisi e non vittime. Una visione più assurda del negazionismo climatico, anche qui senza nessun fondamento scientifico: l’atmosfera non ha frontiere, il riscaldamento globale non si può tenere dall’altra parte di un muro.
Come possiamo definire l’ecofascismo?
Oggi è una sfumatura della più ampia galassia dell’estrema destra, non un’emergenza politica né un fenomeno di massa. Una modalità organizzativa del pensiero ecologista più reazionario. Un laboratorio dove questo pensiero reazionario si aggiorna rispetto ai temi dell’ambiente e in particolare sui cambiamenti climatici, ma strumentalizzandoli.
E che succederà quando la questione climatica sarà ancora più centrale?
Si aprirà un enorme spazio politico e bisognerà stare attenti perché è più facile scegliere risposte semplici a questioni complesse. Lavorando al libro ho capito che la questione climatica, ma direi l’intero discorso ambientale, è un prisma che mostra il funzionamento di nazionalismi e populismi. La ricetta è la solita: creare un nemico, un capro espiatorio. Il punto è che la narrazione progressista sul tema ambientale non funziona. Quando fai fatica ad arrivare a fine mese non pensi alla fine del mondo. La sinistra dovrebbe interrogarsi sulle parole d’ordine giuste. Sono convinta che il tema della lotta alla povertà sia la chiave per raccontare la crisi climatica e la transizione ecologica, il solo strumento di cui disponiamo per combattere le diseguaglianze e lo status quo che le destre vogliono proteggere. Bisogna far capire che la crisi climatica colpisce i più poveri, in Bangladesh ma anche in Italia. Siamo arrivati al punto che la transizione ecologica è percepita come un’operazione dei ricchi contro i poveri. È con questa narrazione che la destra sta costruendo la sua guerra culturale.
Nel libro racconti le stragi di Christchurch in Nuova Zelanda e di El Paso in Texas del 2019, costate rispettivamente 51 e 23 morti. In entrambi i casi gli autori erano suprematisti bianchi che volevano dare l’esempio. Le vittime, musulmani e latinoamericani, “invasori”. In tutti e due i casi nelle rivendicazioni hanno tirato in ballo questioni ambientali. Il neozelandese Brenton Tarrant ha scritto: “Non esiste conservatorismo senza natura, non c’è nazionalismo senza ambientalismo”. Sembra il manifesto dell’ecofascismo.
Aggiungo che entrambi definiscono se stessi come “ecofascisti”. E infatti è dopo questi attentati che la stampa statunitense ha cominciato a parlare di “ecofascismo”, con Naomi Klein tra le prime a farlo. Da questi casi, che univano ambientalismo e xenofobia, si è iniziato a parlare di “white green power”, di superiorità della razza bianca associata alla purezza ambientale. La condivisione in rete di entrambi i manifesti conferma che il principale luogo di incubazione del fermento ambientalista di estrema destra è internet, dove negazionisti, fascisti, razzisti e suprematisti si ritrovano in comunità anonime e virtuali: spazi di radicalizzazione e reclutamento, con tanto di manuali per costruire bombe. Nel sottobosco online c’è tutto l’arsenale retorico del discorso ecofascista: meme, post, tweet e canali Telegram che mirano a far arrivare a un pubblico più ampio possibile messaggi come la lotta alla sovrappopolazione, la guerra razziale, l’idolatria per Unabomber e Pentti Linkola (ambientalista radicale finlandese, che proponeva il controllo delle nascite, il carcere per chi butta un prodotto funzionante, la rieducazione in montagna per i consumisti, il razionamento, nda).
Nello stesso 2019, poco tempo dopo le stragi di cui abbiamo parlato, Marine Le Pen del Rassemblement National ha pronunciato parole non così lontane da quelle postate da Tarrant: “L’ambientalismo è il figlio naturale del patriottismo, perché è il figlio naturale del radicamento”. E ancora: “Chi è nomade non si interessa dell’ambiente, i nomadi non hanno una terra natia”.
Con lo Schweizerische Volkspartei svizzero e il British National Party, il Rassemblement National francese è l’esempio perfetto di ecobordering. La sua risposta patriottica alla crisi climatica consiste nell’abolizione dei negoziati Onu, nella chiusura dei confini, nel fare dell’Europa la prima civiltà ecologica al mondo… Quando si parla di ecofascisti, la linea di pensiero più forte resta quella che collega ambientalismo e xenofobia. Era questo il pensiero dei killer suprematisti di Christchurch e di El Paso, ma anche l’ideologia che nasce dai gruppi nazionalisti. L’ecobordering è subdolo perché raggiunge contestualmente due obiettivi: depoliticizzare il nostro stile di vita, e cioè le nostre responsabilità nella crisi climatica, e politicizzare il presunto impatto ambientale dei migranti, che non esiste. La causa della crisi climatica non è la migrazione né l’aumento della popolazione, ma l’utilizzo dei combustibili fossili. La preoccupazione dell’estrema destra per l’ambiente è solo una forma di greenwashing per addossare anche questa colpa ai migranti.
In Italia questo laboratorio politico non è ancora nei radar. Da noi la destra, lo scrivi tu stessa, è ferma al “fascismo fossile”.
Visto il livello del nostro dibattito in materia, fermo alle forme più retrive, l’idea che la destra possa essere così ambientalista da diventare ecofascista sembra impossibile. Basterebbe pensare alla campagna elettorale di Matteo Salvini contro le auto elettriche e la case green, a quei talk show che citano dati di think tank finanziati da compagnie petrolifere, ai dibattitti in cui vengono messi sullo stesso piano scienziati del clima e opinionisti completamente ignoranti in materia. Alla stampa mainstream che dà spazio ai negazionisti climatici… Il problema di fondo in Italia è quello legato alla disinformazione. L’informazione scientifica non ha spazio. Si polarizza tutto il polarizzabile e si finisce sempre a scavare trincee: auto elettriche, rinnovabili, carne coltivata, case green.
IDENTIKIT
Francesca Santolini, giornalista, collabora con i quotidiani “La Stampa” e “la Repubblica”. Ha pubblicato “Passione verde. La sfida ecologista alla politica” (2010), “Un nuovo clima. Come l’Italia affronta la sfida climatica” (2015) e “Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno” (2019). “Ecofascisti” (2024) è il suo ultimo libro.