Marco Barcaroli
Marco Barcaroli, musicista versiliese ha da poco pubblicato il suo nuovo album. Nato a Pietrasanta e risiede a Viareggio. Quanto la sua formazione, sia accademica (Università di Pisa) sia musicale, è rimasta legata al contesto della Versilia?
Ne parlai con Andrea Pachetti (producer e fonico di Livorno) durante il mix dell’album di questa recente tendenza tipica dei toscani di rimanere, nonostante la ben nota polarizzazione milanese e romana, saldi alla propria regione.
Ormai le connessioni e la tecnologia permettono di potersi costruire il proprio studio o comunque trasmettere la musica stando tranquillamente in casa propria quindi immagino che questa fuga in cerca di prospettive extra-regione si sia un po’ ridimensionata. Io mi ritengo una persona anche un po’ pigra/poco intraprendete, nel senso che se ho la fortuna di vivere in una regione così completa come la Toscana, e in particolar modo Viareggio e la Versilia, mi riesce difficile staccarmi se non per necessità specifiche.
Ho amici musicisti che sono andati a Milano ad esempio e hanno trovato situazioni fortunate e quindi posso essere smentito, però secondo me la tendenza sta cambiando. Auspico che il nostro territorio rafforzi la sua domanda discografica.
Sinergie Locali: L’album vanta collaborazioni come Michela Lombardi, Marco Martinelli, Francesco Foti; Raf Briganti e Andrea Pachetti. Com’è nato il sodalizio con questi artisti “conterranei”?
Fondamentalmente sono stati incontri molto fortunati: Francesco l’ho conosciuto quando lavoravo in uno studio di registrazione della zona, Michela anche lei nello stesso studio durante una sessione dove ci siamo messi a condividere gusti e opinioni (specie sul nostro amore comune verso Tori Amos), Marco l’ho conosciuto durante la registrazione del mio precedente singolo JAZZIAL, poiché mi venne presentato e caldamente consigliato da un amico comune e Raf anche lui tramite contatto comune.
Nel caso di Andrea fu una storia particolare; avevo visto e sentito i suoi lavori in studio con Emma Nolde ma soprattutto notai che aveva un tatuaggio con il logo della mia band di riferimento, i Nine Inch Nails; quindi lo contattai sicuro che avrebbe trattato il mio sound con le dovute cure. Non mi sono sbagliato e tutt’ora se devo mixare lui ha la corsia preferenziale!
Ognuno di loro mi ha dato nuovi spunti e insegnamenti essendo quasi tutti estranei al mio genere e questo per me è stato fondamentale (Francesco è molto versatile nonché floydiano, Marco spazia molto sul pop-rock e Michela è una jazzista affermata); probabilmente sarei rimasto fin troppo “purista” se non avessi avuto un po’ di contaminazione.
Spero che questo sodalizio continui perché prima di essere eccellenti artisti sono persone leali e sincere e sono molto fortunato ad averle intorno.
La copertina, realizzata dall’artista lucchese Beatrice Speranza, è molto evocativa. Può raccontarci come è nata l’idea della dissociazione e del gioco di chiaroscuri?
La fortuna è stata che io volevo rappresentare questa ambiguità della personalità mentre Beatrice stava facendo degli studi/lavori sul rapporto luce e ombre.
Io sono un grande fan della fotografia in bianco e nero ed è proprio questo aspetto della fotografia di Beatrice che mi ha conquistato e me l’ha fatta contattare.
Nello specifico ha voluto dare ad ogni scatto un suo ruolo così come io l’ho concepito musicalmente: la foto centrale e più nitida (rappresenta la realtà manifesta) mentre le altre emozioni sono sfuocate, nascoste poiché non evidenti dall’esterno.
Il posizionamento poi va a seguire un movimento ciclico così com’è la ciclicità degli eventi all’interno della narrazione dell’album. Questo movimento è poi enfatizzato anche da posizionamento delle parole del titolo (Split To Stay Whole) che si legge in senso orario.
Pur partendo da un’esperienza estremamente personale, l’album affronta temi universali come la psiche e la dualità. Qual è il messaggio che spera di trasmettere alla comunità locale che ascolterà un progetto così inaspettato per la scena musicale della zona?
Mi piacerebbe ci fosse più attenzione verso l’ambiguo, l’irrisolto e la fragilità. Non generalizzo ma sento che manca questo lato un po’ oscuro e decadente nel pop o nel rock più tradizionale soprattutto dal punto di vista sonoro.
Sarebbe bello che l’industrial o sottogeneri si diffondesse in maniera più decisa; questo me lo auspico a livello nazionale ma mi accontenterei anche a livello locale.